“NIENTE C I FU”, un grande esempio di donne-coraggio

  “Niente ci fu” era l’espressione usata, sino a pochi decenni fa in Sicilia per mettere a tacere, per dimenticare, per cancellare alcuni avvenimenti dolorosi, tanto dolorosi da doverli rimuovere a tutti i costi.

Invece no! La storia di Franca Viola “ci fu”. Grazie a questa donna-coraggio è cominciato il lento, ma graduale cammino delle donne per il riconoscimento di quella dignità tanto desiderata, tanto sognata, ma quasi sempre negata e calpestata.

 La straordinaria storia di Franca Viola è stata ….

raccontata da un’altra donna: Beatrice Monroy e risale al lontano 1965, ma, ancora oggi, attuale più che mai.

Rapita, violentata, sequestrata  per otto giorni da un giovane del suo paese che la voleva in sposa avrebbe dovuto accettare il matrimonio riparatore per evitare, secondo la morale del tempo e del luogo, il disonore personale e della famiglia. Invece, con forza e veemenza mai sospettate in una giovane donna di 17 anni, dice di no: denuncia il fatto, che si conclude con la condanna del suo rapitore e stupratore.

E’ iniziato cosi il cammino delle donne, alla ricerca della dignità negata, ma sempre inseguita all’interno della famiglia e della società.

Beatrice Monroy, autrice di un libro meraviglioso, racconta i fatti accaduti con uno stile narrativo incalzante, drammatico, coinvolgente.  Fatti accaduti in una Sicilia ancora ferma, statica, atavica, ma che guarda con ammirazione a quell’Italia che vuole seguire, a tutti i costi, il vento innovatore dei grandi Paesi occidentali. 

Bellissima l’affermazione, sempre dell’autrice: “… Il tuo no inaspettato salverà molte vite. Permetterà a molte ragazze di ripetere il tuo gesto senza che questo si trasformi per loro in un futuro di segregazione…”

E il cammino della donna siciliana ed italiana è iniziato….. Nel 1974 un referendum popolare sancisce la possibilità di chiedere il divorzio; nel 1975 la tanto aspettata riforma del Diritto di famiglia sancisce la parità tra i coniugi……; nel 1981 vengono modificati o cancellati gli articoli n.587 (sul delitto di onore) e n.544 (sul matrimonio riparatore).

Quanta strada è stata fatta! Sovente, tortuosa e faticosa! Oh, se la mia nonna paterna, anch’essa rapita da mio nonno, combattente sul Grappa e reduce da poco tempo, avesse potuto sapere e avere notizia di donne cosi coraggiose, forse non avrebbe accettato un “matrimonio riparatore”, spinta dalla madre e da tutta la famiglia. Un matrimonio che le ha dato, poi, la gioia di due bambini e di un uomo innamorato e pieno di dignità.

La statua del “ratto di Proserpina” ricorda che la violenza sulle donne c’è sempre stata…tanto che, più la società si evolve e più la donna avanza nell’ambito delle conoscenze, dello studio, delle professionalità, dello sport…più cresce la violenza nei suoi confronti….

E’ dunque questo lo scotto che deve pagare per le sue conquiste sociali? Per la sua libertà? Per aver raggiunto la parità legale?

 Il massimo della violenza sulle donne si raggiunge nelle società che considerano “normale” la loro inferiorità. Nella “nuova Tunisia”, per esempio, la violenza sulle donne, complice il testo sacro del Corano, è pratica acquisita, accettata, condivisa, incoraggiata, considerata come osservanza di un precetto religioso. In altri Paesi arabi se rifiutano di coprirsi, se pretendono di andare a scuola o osano uscire da sole senza un maschio-padrone o si permettono di rifiutare un matrimonio stabilito dai familiari è normale la punizione corporale, la segregazione e, a volte, l’uccisione.

Cose dell’altro mondo si direbbe! Anche nella nostra civile e democratica Italia, il maschio, a ben indagare, pur dichiarandosi evoluto, moderno, civile non sempre ha dimenticato gli istinti brutali, primordiali del “pater familias”…..

Paola Severino, ministro della giustizia nell’attuale governo, nel discorso del 25 novembre ha riconosciuto la natura culturale della violenza sulle donne, considerandolo come fenomeno trasversale che avviene sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri. “Il problema sociologico della violenza sulle donne –ha osservato- non riguarda le donne, ma riguarda la cultura degli uomini, una cultura che si radica nel senso del possesso. Mariti, padri, fratelli, amanti che  ritengono di dover possedere la loro donna…la isolano, la amano in modo folle…. Bisogna creare una cultura della antiviolenza….”.

Prevenire la violenza sulle donne è stato il senso della Giornata internazionale, istituita dall’ONU il 25 novembre e in Italia, come in molti Paesi doltr’Alpi, si sono susseguiti incontri, dibattiti, marce, mostre… Ma la domanda che rimane è sempre la stessa: Quali le cause di tanta violenza? Come può l’uomo, spesso follemente innamorato,alzare le mani sino ad uccidere? E allora, cosa fare? Come prevenire tanta barbarie?

Varare nuove leggi? Fare applicare quelle che già esistono? Renderle più severe? Qualcuno dice che la strategia migliore sta nel denunciare subito e nel “ fare il vuoto” attorno ai violenti che picchiano, maltrattano, uccidono le donne.

Io penso che la parità, sancita dalla legge, si potrà raggiungere solo con l’impegno comune, l’impegno di tutti: uomini e donne e non solo delle donne o solo degli uomini. Penso che sia illusorio pensare che la severità della legge e delle pene o il loro inasprimento siano il metodo migliore, quello più efficace. Far sentire i violenti,(anche quelli più innocui, come quelli che attuano violenza psicologica), isolati,vigliacchi, criminali, potrebbe essere più efficace, potrebbe rivelarsi l’arma migliore.

La speranza è che i mezzi di comunicazione, i gruppi di studiose, di artiste, i rappresentanti della politica, riescano a sensibilizzare sempre più persone. La speranza è che quel movimento di donne, in grado di investire cultura, tempo ed energie e che rappresenta la vera novità, la vera forza motrice, possano portare a cambiamenti importanti, ad una uguaglianza democratica e liberamente accettata. La speranza è che, dopo il 25 novembre,non resti tutto come prima e che l’impegno della rappresentanza femminile porti ad azioni concrete e non a semplicemente “girarci intorno” per dire, sic et simpliciter, “c’ero anch’io”. La speranza è che venga innalzato un muro,sempre più alto, sempre più solido, tra la violenza e le sue vittime. La speranza è che vengano istituiti corsi, interventi di specialisti e psicologi nelle scuole, affinchè le nuove generazioni vengano educate alla generosità, alla magnanimità, alla collaborazione sportiva, all’amore reciproco, spontaneo e senza riserve “ut unum sint”. La speranza è che  il maschio non le veda più come nemiche o antagoniste, degne solo di repulsione e di avversione, atteggiamento misogino, ma come persone degne di rispetto sempre. La speranza è che il maschio accetti e non calpesti più il dinamismo intrinseco delle donne. La speranza è che quella realtà che il Papa Giovanni Paolo II aveva saputo leggere nel cuore e nell’animo delle donne, definendole “il motore del mondo”, venga finalmente capita ed accettata. La speranza è che i ragazzi di oggi, educati ed istruiti soprattutto  dalle donne, diventino uomini orgogliosi di essere fidanzati, mariti, compagni di donne intelligenti, spigliate, sicure di sé. La speranza è che il maschio riesca a gestire l’istinto primordiale, dimentichi di essere il padrone a tutti i costi e incominci a capire la forza interiore delle donne, donne-coraggio, come amo definirle io.

E’ sufficiente andare negli ospedali, nelle cliniche, nei luoghi di sofferenza e di dolore per rendersi conto del coraggio delle donne.

Donne che aiutano i familiari malati, costretti a letto o su sedie a rotelle. Le donne, solo esse hanno il coraggio e la forza interiore di star loro vicino, coccolarli,lavarli, imboccarli…. Donne-coraggio, nel vero senso della parola, piene di affetto e di determinazione che cercano in tutti i modi di ridare ai malati, ai sofferenti quell’orgoglio e quella sicurezza che la malattia ha tolto. Fantasie, si potrebbe dire, ma la mia esperienza diretta mi fa dire che è tutto vero. Quattro-cinque mesi passati nell’ospedale di Cassino, Pontecorvo, nel San Raffaele sempre di Cassino per assistere quotidianamente il mio papà e nove anni per curare mia madre, mi hanno fatto conoscere donne-coraggio eccezionali di cui ignoravo l’esistenza. Tutte sono rimaste nel mio cuore e nella mia mente, mai nessuna sarà dimenticata.


 Art. scitto dalla Professoressa Leonarda Oliva →   

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