La mimosa

La mimosa è il simbolo delle donne che lottano affinché tutte abbiano un giusto ruolo nella società del terzo millennio.

Da molti decenni, ormai, l’8 marzo, viene celebrato come la “Giornata internazionale della donna”, più noto come “Festa della donna”. La Giornata vuole ricordare le lotte, le battaglie combattute nel tempo dalle donne per cercare di ottenere parità, dignità, giusti riconoscimenti, che da sempre le sono stati negati.

L’ “Woman’s Day”, il “Giorno della donna”, fu celebrato, per la prima volta, nel 1909 negli Stati Uniti. Ricercare le origini della ricorrenza è piuttosto difficile e l’indeterminatezza e la confusione le conferiscono un senso di mistero e di fascino, anche se alla base c’è sicuramente una delle tragedie realmente verificatisi nella città di New York all’inizio del secolo, forse l’incendio della fabbrica “Triangle” nel quale morirono 146 lavoratori di cui 123 donne, in gran parte giovani immigrate di origine italiana ed ebraica.

La data, all’inizio celebrata solo in America, per ricordare una tragedia immane, con il passare degli anni ha assunto un’importanza a livello mondiale ed è divenuta non solo il simbolo delle discriminazioni e delle violenze di cui sono state vittime le donne nei secoli, ma anche e soprattutto il punto di partenza della loro battaglia e del loro faticoso riscatto.

La donna, infatti, nell’ambito delle trasformazioni sociali e culturali avvenute, ha trovato finalmente la forza di ribellarsi a quel groviglio di leggi, tradizioni, pregiudizi che l’hanno da sempre tenuta in una condizione di umiliante inferiorità in un mondo appartenuto da sempre all’uomo.

Assertrice convinta dei suoi diritti in una società che ancora tende a volerla repressa e sottomessa alla “superiorità” dell’uomo, la donna attuale rivendica più che mai il diritto di pensare e di agire in assoluta libertà. Sono tante le battaglie che ha combattuto e che l’hanno vista, a volte, vincere, a volte, perdere, ma mai soccombere. Sempre ha trovato in sé la forza di rialzarsi e di continuare a lottare, ora per se stessa, ora per i suoi figli. Sa che in questa impresa è ancora una volta sola, ma, resa forte dalle umiliazioni, dai patimenti, dalle sofferenze che porta scolpiti nel proprio DNA da secoli, ora non ha più paura ed è pronta a seguire il proprio cuore, a fare, ogni giorno, qualcosa per migliorare il mondo e per sconfiggere la violenza.

Molte sono le iniziative prese, in questi giorni, nelle varie città italiane, in collaborazione con i Centri Antiviolenza, per dare voce alle vittime di uomini folli. Iniziative di tipo fotografico, teatrale, video , prese proprio per cercare di catalizzare l’attenzione sul tema della violenza contro le donne. Emozionanti, a questo proposito, risultano sia il documentario “Il peccato del silenzio” che racconta le diverse storie di donne americane incarcerate per aver ucciso il proprio marito violento, sia il toccante testo “Ferite a morte”. Testo che nasce, come afferma l’autrice stessa, dal desiderio di raccontare le esistenze diverse, ma pur comuni per lo stesso tragico destino, di donne vittime di violenze. Sono mogli, ex mogli, fidanzate, ex fidanzate, figlie….. che non sono state “ai patti”, che sono uscite dal solco delle regole assegnate dal pregiudizio, dalla società, e la disubbidienza è stata fatale. A volte giovani ed ingenue adolescenti che si stavano appena aprendo alla vita, che cominciavano appena ad assaporarne le gioie, a volte donne adulte. Che si tratti di Jara, di Melania… tutte, però, innamorate della vita, della serenità, del futuro.

A questi nostri angeli bisogna aggiungere le donne lapidate senza pietà nel resto del mondo perché accusate di adulterio o le “spose-bambine”, sgozzate per essersi ribellate ad un marito-nonno o le “bambine mai nate”, uccise solo perché donne. Sarebbe bello dar voce a chi non può più farlo, sarebbe bello ricostruire il prima, il dolore, la sofferenza di questi angeli, con la speranza di infondere coraggio a chi può fare ancora in tempo a salvarsi. Sarebbe bello immaginare un paradiso popolato da queste donne-angelo e dalla loro “energia vitale”.

Ma se le donne sono le vittime di una società incapace di prevenire questo dramma antico, gli uomini-boia non vanno abbandonati ad una cultura che li vuole ancora dominatori, padroni ossessionati dal desiderio di prevaricazione e di possesso. Dovrebbero essere educati a gestire la loro rabbia, dovrebbero essere aiutati a superare il dolore e la sofferenza di una separazione e trasformare in dialogo, in rispetto reciproco, la propria frustrazione interiore. Dovrebbero essere aiutati a saper superare la propria inadeguatezza, quando non trovano altra strada se non quella di ricorrere alla forza fisica e solo in quella sanno di essere sicuramente vincitori.                                  

                                                                                               Prof.ssa Leonarda Oliva

 

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